Lucio Papirio dittatore, Venezia, Pasquali, 1744 (Lucio Papirio)

 ATTO TERZO
 
 Foro romano con luogo elevato per li tribuni e altri magistrati.
 
 SCENA PRIMA
 
 MARCO FABIO, QUINTO FABIO, popolo
 
 
 POPOLO
 
985   Di trionfo e non di morte
 degno è il forte, il vincitor.
 
 MARCO FABIO
 
    Quella destra, al cui valor
 ligia fu vittoria e sorte,
 andrà stretta fra ritorte
990da inflessibil dittator.
 
 POPOLO
 
    Di trionfo e non di morte
 degno è il forte, il vincitor.
 
 MARCO FABIO
 
    Né a quel capo, i cui sudori
 spremé zelo e colse onor,
995fian riparo i sacri allori
 dalla scure e dal littor.
 
 POPOLO
 
    Di trionfo e non di morte
 degno è il forte, il vincitor.
 
 MARCO FABIO
 Meglio al pubblico sguardo
1000t’esporranno que’ seggi, ond’io più miti
 diedi a Roma gl’imperi.
 QUINTO FABIO
 Piacciono a Lucio i rigidi e severi. (S’incamminano per salire sulla parte più elevata del foro ma ne sono arrestati da Lucio Papirio che sopravviene)
 
 SCENA II
 
 LUCIO PAPIRIO co’ littori e i suddetti
 
 LUCIO PAPIRIO
 Ove, o Fabi? Que’ rostri
 non ascenda uom privato;
1005e dove giudicato
 esser dee da’ tribuni,
 uom proscritto non sieda.
 MARCO FABIO
 Da un Fabio, ovunque stiasi,
 il luogo ha dignitade.
1010Ma grazie al dittatore
 che là mi vuol, donde privato io possa
 giustificare un figlio
 che d’altro non è reo che del suo sdegno.
 LUCIO PAPIRIO
 Senza le offese leggi io non l’avrei.
 QUINTO FABIO
1015(E vagliono tant’odio i giorni miei?)
 MARCO FABIO
 Vedrem...
 
 SCENA III
 
 SERVILIO, seguito da’ magistrati della plebe, e i suddetti
 
 SERVILIO
                      Fine alle risse;
  e di silenzio il banditor dia segno. (Al suono della tromba vanno a sedersi il dittatore nella sella curule, Servilio e gli altri capi del popolo in altri seggi nella parte più alta del foro. Marco Fabio e Quinto Fabio siedono nella parte inferiore)
 MARCO FABIO
 Popolo, nel cui braccio (Levandosi)
 sta di Roma il poter, fui vostro anch’io
1020consolo e dittator; ma verghe e scuri
 non mai di civil sangue
 contaminai. Papirio
 stima eguale trionfo il tor di vita
 il Romano e il Sannita. Ov’è la prisca
1025modestia? Ove i Cammilli? I Cincinnati?
 Un duce già perdente
 puniasi in oro. Un trionfante or vuolsi
 che dia tutto il suo sangue
 e il dia sotto il littor. Qual maggior pena
1030al codardo? Al fellone?
 Ma sia giusto, o Quiriti,
 veder per Quinto Fabio
 tutta in festa la patria? Aprirsi i templi?
 Fumar l’are d’incensi?
1035E lui legato, ignudo e lacerato
 morir nel Campidoglio? E in faccia a’ numi
 non invano implorati?
 Qual onta a’ suoi soldati?
 Qual gioia a’ suoi nimici? Ah! Lucio il vuole;
1040e Roma lo vedrà. Misero figlio!
 Ultimo tu de’ Fabi,
 morrai così vilmente? E a tua salute
 nulla varran tuoi merti?
 Nulla quelli degli avi? E nulla i miei?
1045A che m’avete riserbato, o dei! (Siede coprendosi il volto con le mani)
 POPOLO
 
    Di trionfo e non di morte
 degno è il forte, il vincitor.
 
 LUCIO PAPIRIO
 Se pietade, o Romani, (Levandosi dal suo seggio)
 più del giusto vi move,
1050Quinto Fabio si assolva. Io ne protesto
 pubblico estremo eccidio
 alle leggi, all’impero, al culto, a Roma.
 Manca la base al trono, ove gli manchi
 disciplina e rispetto.
1055Per me sto in mia sentenza; e della pena
 nulla dono o rimetto.
 Farlo a voi piace? Al ciel le vostre teste
 offro, di quella invece
 che togliete a mia scure.
1060Dissi e il ridico ancora; (Avanzandosi alquanti passi verso i gradini)
 Roma per voi si perde. Io vo’ che viva.
 Fabio per voi si assolve. Io vo’ che mora. (Discende e in atto sdegnoso parte, seguito da’ littori. Tutti gli altri si levano)
 SERVILIO
 Quinto, hai tu che produr?
 QUINTO FABIO
                                                   S’adempia il giusto.
 Al popolo romano il capo io chino,
1065non reo, non vincitor ma cittadino. (Servilio con gli altri discende nella parte inferiore)
 SERVILIO
 Oh! Sì modesto in campo
 fossi stato e sì saggio.
 Seguimi; e poi che altrove
 avrò de’ magistrati e della plebe
1070raccolti i voti, a libertade o a pena
 andrai ma sempre illustre. (Parte con li capi del popolo)
 MARCO FABIO
                                                    Io feci, o figlio,
 quanto per te potei. Tu in ogni sorte
 ricordati qual fosti;
 e anche in faccia al littor mostrati forte.
 QUINTO FABIO
 
1075   Dammi un amplesso, o padre.
 Forse tra’ ceppi avvinto
 più non tel renderò.
 
    Perdonami il dolore
 che avrai se cado estinto;
1080e degno del tuo amore
 anche in morir sarò. (Si parte col popolo)
 
 SCENA IV
 
 MARCO FABIO
 
 MARCO FABIO
 Tutta a sì mesto addio l’alma si scosse
 e padre mi sentii.
 O romana alterezza!
1085Perché dal ciglio risospingi il pianto?
 Questa non è fortezza, è crudeltade.
 Possiamo a’ nostri affanni
 negar lo sfogo ma non torre il senso;
 e celando il dolore,
1090sta nel volto l’eroe, l’uomo nel core.
 
    A torrente, che cresce ed inonda,
 por argine o sponda
 lo fa più orgoglioso.
 
    Ei trae seco que’ faggi e que’ sassi;
1095e tumido vassi,
 sinché in piano più libero e aperto
 spande l’onda, men gonfio e spumoso.
 
 Stanze.
 
 SCENA V
 
 RUTILIA e COMINIO
 
 RUTILIA
 Sgridi, imperi, minacci,
 di padre non farà sdegno o comando
1100ch’io non ami Cominio,
 ch’io non sprezzi Servilio.
 COMINIO
 Ma Servilio può darti
 la vita d’un fratello.
 RUTILIA
 Faccialo; ne avrò stima, amor non mai.
 COMINIO
1105Ah! Non di te, temo del padre.
 RUTILIA
                                                          Il padre
 diè lusinghe al tribuno,
 qual chi presso al naufragio
 ogni tavola afferra.
 COMINIO
 Piaccia agli eterni dii che Fabio viva.
 RUTILIA
1110Da la plebe, nimica de’ patrizi,
 poco di bene io spero.
 COMINIO
 Speralo dal mio amor. Son meco in Roma
 quelle che già ad Imbrinio
 pugnar fide coorti.
1115Con queste tra’ littori e tra la plebe
 aprirommi il sentier; salverò Fabio.
 Vendicherò di un dittator l’inganno...
 RUTILIA
 E dal pio genitor quella che brami
 nobil mercede avrai.
 COMINIO
                                         Che non degg’io
1120tentar per meritarti, idolo mio?
 
    Più cori, più vite
 dal cielo vorrei
 e a te le darei
 in arra d’amor.
 
1125   Ma quanto in amarti
 mia fede può darti
 non è che una vita,
 non è che un sol cor.
 
 SCENA VI
 
 RUTILIA e SERVILIO
 
 RUTILIA
 Qual mai più fido e generoso amante?
1130E di costui qual più importuno e audace?
 SERVILIO
 Eccomi ancor, Rutilia...
 RUTILIA
 A che? Noie mi rechi? O nuovi mali?
 SERVILIO
 Timido questa volta
 non osa il labbro e il tuo dolor rispetto.
 RUTILIA
1135Che? Condannato avresti ingiustamente
 un Fabio? Un vincitore? Un innocente?
 SERVILIO
 Roma a te lo dirà. Servilio il tace.
 RUTILIA
 Ah vile! Ah scellerato!
 Taci il colpo e il facesti.
1140Vendicasti il tuo amore;
 e il fratel m’uccidesti. (Piange)
 SERVILIO
                                           Io te l’uccisi?
 RUTILIA
 Vanne, fuggi, o crudel. Togli a questi occhi
 un aspetto d’orrore.
 Già ti sprezzava; or ti detesto; or t’odio;
1145e t’odio col dolor che tu sì indegno
 sia, qual già del mio amore, or del mio sdegno.
 
    Al duolo, all’odio,
 che m’empie l’anima
 sol per te misera,
1150fuggi, nasconditi,
 fiero omicida.
 
    Amor sprezzato,
 cangiato in furia,
 ti fece, o barbaro,
1155iniquo giudice,
 rio fratricida.
 
 SCENA VII
 
 SERVILIO, LUCIO PAPIRIO e PAPIRIA
 
 SERVILIO
 Tutto si può soffrir da donna irata.
 LUCIO PAPIRIO
 Non ti doler. Tal io mostrarlo a Roma
 dovea prostrato. Or che il decoro è salvo,
1160in me torna pietà. L’amo qual pria.
 PAPIRIA
 Ma incerto della plebe è ancora il voto.
 LUCIO PAPIRIO
 Sciorrà i dubbi Servilio.
 PAPIRIA
                                               Ah! Che ne rechi?
 Vivrà Fabio? O morrà?
 SERVILIO
                                             D’un dittatore
 sacri sono i giudizi.
1165Nella sua autorità sta la romana
 grandezza e il comun bene.
 Scemarla è un perder Roma.
 Il giudice si teme
 che può punire. A lui
1170tolto il potere del gastigo, agli altri
 si dà l’ardir del fallo e del disprezzo.
 Viva la dittatura e viva eccelsa.
 Eccoti il plebiscito. (Porge a Lucio Papirio il decreto del popolo romano)
 «Ben giudicasti. Fabio
1175al littor s’abbandoni».
 PAPIRIA
                                           Oimè! Son morta.
 LUCIO PAPIRIO
 Al littor s’abbandoni?
 Perché, o popol roman? Me solo offese
 il delitto di Fabio.
 A te diede vittoria. Il condannarlo
1180per Lucio era giustizia,
 per Roma è sconoscenza.
 Tu potevi clemenza usar con gloria;
 io usar non la potea senza viltade.
 PAPIRIA
 (O in quel rigido cor tarda pietade!)
 SERVILIO
1185Se Lucio lo compiange, ei non disperi.
 LUCIO PAPIRIO
 Qual tribunal fia asilo all’infelice?
 SERVILIO
 Quello che può salvarlo e a cui s’appella.
 LUCIO PAPIRIO
 Da me, da voi, da Roma,
 Fabio ancora appellarsi? A chi? Agli dii?
 SERVILIO
1190Da Lucio a Lucio. Al dittator pietoso
 dal dittator severo.
 LUCIO PAPIRIO
 Come?
 SERVILIO
                 Tutto è rimesso
 al tuo cenno il suo fato. Ei qui ben tosto
 tratto a te fia. da ferrei ceppi avvinto.
1195Il popolo romano,
 togliendo a sé l’arbitrio del perdono,
 vuol che tutto dipenda
 dalla tua dignità l’uso del dono.
 
    In tua man sta vita e morte;
1200puoi punir e perdonar.
 
    Scaglia folgori il tonante
 e di orror gelan le fronti;
 striscian quelle; e torri e monti
 vanno intanto a fulminar.
 
 SCENA VIII
 
 PAPIRIA e LUCIO PAPIRIO
 
 PAPIRIA
1205Padre, a vita rinasco. Avrò il mio Fabio
 dal paterno tuo amore.
 LUCIO PAPIRIO
 Figlia, o quanto t’inganni!
 Il padre non cercar nel dittatore.
 PAPIRIA
 O voce che m’uccide!
1210Fabio dunque morrà?
 LUCIO PAPIRIO
                                           Potea salvarlo
 il popolo e il Senato e non lo fece.
 Ciò che far ei non volle, a me non lece.
 PAPIRIA
 Accusar pur t’udii Roma d’ingrata?
 LUCIO PAPIRIO
 Or non vo’ che d’ingiusto ella m’accusi.
 PAPIRIA
1215Fabio ottenne al tuo piè grazia e perdono.
 LUCIO PAPIRIO
 Le mie private offese io perdonai,
 le publiche non mai.
 PAPIRIA
 Troppo rigor traligna in crudeltade.
 LUCIO PAPIRIO
 Se infetta parte, che guastar può il tutto,
1220col ferro si recida,
 chi di crudel quel colpo accusa e sgrida?
 PAPIRIA
 Tu se’ il solo che vegga
 nel perdono di Quinto il comun rischio.
 LUCIO PAPIRIO
 Scorge più lunge assai chi siede in alto
1225di chi osserva dal suolo;
 e a tutta Roma il dittatore è un solo.
 PAPIRIA
 O dio! Padre, son figlia e sposa io sono.
 A che cerco ragion? Movanti questi
 teneri nomi. Abbi di me pietade.
1230Fabio è un tuo don. Perché mel togli? E appena
 dato, perché mel togli?
 Tu pur l’amasti tanto;
 e tu fosti cagion che tanto io l’ami.
 Pietà, mio genitore.
1235Vuoi ch’io cada al tuo piè? Vuoi che coteste
 ginocchia abbracci? Ecco ti cado al piede; (S’inginocchia)
 e le ginocchia abbraccio
 e le irrigo di lagrime e l’estremo
 del tuo paludamento orlo ne bagno.
 LUCIO PAPIRIO
1240Troppo mi costeria l’esser di padre,
 se per questo lasciassi
 quel di giusto, di forte e di romano.
 Sorgi. T’accheta; e se vuoi pianger, piangi
 per la morte di Fabio
1245e non per la sua vita.
 PAPIRIA
 Padre crudel, tu non sarai più padre, (Papiria si leva con impeto)
 che sì poco l’apprezzi. Allor che un ferro
 reciderà lo stame al caro sposo,
 un altro all’alma mia troncherà i lacci.
 LUCIO PAPIRIO
1250Perdono al tuo dolor, debile figlia.
 PAPIRIA
 Ah! Più figlia non son di chi m’uccide.
 
    Padre amoroso, padre crudele,
 lagrime ed ire, prieghi e querele
 chiedo; dispero; pace non ho.
 
1255   Sii tutto o barbaro, tutto o pietoso;
 dammi la morte; dammi lo sposo.
 Senza il mio bene viver non vo’.
 
 SCENA IX
 
 LUCIO PAPIRIO, poi QUINTO FABIO tra’ ceppi, PAPIRIA che con esso ritorna
 
 LUCIO PAPIRIO
 Quasi m’abbandonò la mia costanza.
 Tutta l’alma v’opposi e bastò appena.
1260Vien Fabio. A nuovo assalto accingo il core.
 QUINTO FABIO
 Papiria, abbia misura il tuo dolore. (Fermandosi in lontano)
 PAPIRIA
 Mia cruda sorte abbia misura anch’essa. (Quinto Fabio s’avanza verso Lucio Papirio e Papiria si ferma nel posto di prima)
 QUINTO FABIO
 Signor, qual mia ventura
 fa che pria di morir veder l’aspetto
1265del mio giudice io possa e la sovrana
 destra baciar che il mio segnò di morte
 giustissimo decreto?
 LUCIO PAPIRIO
 Quelle indegne ritorte
 alla mano ed al piede, olà, sciogliete. (Un littore s’avanza ma Papiria lo risospinge e scioglie di sua mano le catene di Quinto Fabio)
 PAPIRIA
1270Non a te, vil littore, a moglie amante
 sì grato ufficio.
 LUCIO PAPIRIO
                               Il brando illustre e il premio (Al littore)
 de’ forti cittadini,
 mi si porti l’alloro.
 QUINTO FABIO
 Deh, qual sorpresa!
 PAPIRIA
                                       E di piacer non moro?
 QUINTO FABIO
1275La man pietosa...
 LUCIO PAPIRIO
                                  Non la mano, o Fabio, (Abbracciandolo)
 ma le braccia ti stendo. In questo seno
 sentirai palpitare un cor che t’ama.
 PAPIRIA
 Io la man bacierò che mi dà vita. (Papiria bacia la mano del padre)
 QUINTO FABIO
 Dopo un sì bel perdono,
1280s’anche morte verrà, verrà gradita. (Vengono due soldati, l’uno de’ quali porta la spada di Quinto Fabio e l’altro sopra un bacino una corona di lauro fregiata d’oro)
 LUCIO PAPIRIO
 Prendi e rimetti al fianco
 la spada trionfal. (Lucio Papirio porge a Quinto Fabio la spada e questi se la ripone al fianco)
 QUINTO FABIO
                                   Non in mio fregio
 ma in difesa di Roma ognor la cinsi. (Lucio Papirio, presa la corona d’alloro, la mette sul capo di Quinto Fabio che si china in riceverla)
 LUCIO PAPIRIO
 E di questo io t’adorno
1285laureo serto le tempie, onde di qualche
 ricompensa s’onori il tuo trionfo.
 QUINTO FABIO
 In ben oprar premio ha dall’opra il forte.
 PAPIRIA
 Non mai sì bel Fabio a’ miei lumi apparve.
 LUCIO PAPIRIO
 Tal per Roma si scorti (A’ littori)
1290l’invitto al Campidoglio; e là, gridando
 il banditor: «Muor Quinto,
 perché ha pugnato e vinto»,
 pieghi al littor sotto la scure il capo;
 e meno reo che vincitor, tal passi
1295a’ suoi grandi avi a canto,
 e da Roma e da noi lodato e pianto.
 PAPIRIA
 Misere gioie mie! Tornate, o lagrime.
 QUINTO FABIO
 Signor, io ben sapea
 mio irrevocabil fato.
1300Sul tuo labbro l’adoro e sol mi basta
 morir senza il tuo sdegno e con l’affetto
 di te, fida consorte.
 PAPIRIA
 Ah! Senza me tu a morte?
 LUCIO PAPIRIO
 Fabio, do quanto posso, amore e lode.
1305E per ultimo dono
 con la sposa ti lascio. Anime amanti,
 più non vi rivedrete.
 L’ultimo addio prendete; e da me prendi
 tu ancor l’ultimo addio.
1310(Parto e al vostro nascondo il pianto mio).
 
    Consolati. Sul sasso,
 che chiuderà tue ceneri,
 avrai di Roma il pianto.
 
    E là, fermando il passo,
1315te le romane vergini
 celebreran col canto.
 
 SCENA X
 
 PAPIRIA e QUINTO FABIO
 
 PAPIRIA
 Quinto.
 QUINTO FABIO
                  Sposa.
 PAPIRIA e QUINTO FABIO A DUE
                                 Mio bene.
 PAPIRIA
 Qual t’abbracciai poc’anzi!
 QUINTO FABIO
 E quale ora t’abbraccio!
 PAPIRIA
                                              Amplesso il primo
1320di gloria e contentezza.
 QUINTO FABIO
 Or di pena e tristezza.
 PAPIRIA
 Tu, che ne unisti in vita,
 perché ne sciogli in morte,
 crudelissimo padre?
 QUINTO FABIO
1325Non l’accusar. L’assolve
 la gloria sua, la sua pietade istessa.
 PAPIRIA
 Oimè! Che far degg’io?
 QUINTO FABIO
 Consolarti, amor mio, vivere, amarmi.
 PAPIRIA
 Amarti? Lo farò dopo anche estinta.
1330Viver? Nol potrò mai né consolarmi. (Escono i littori)
 QUINTO FABIO
 Papiria, ecco i littori. A me conviene
 ubbidire e lasciarti.
 PAPIRIA
 Sì tosto?
 QUINTO FABIO
                   Affretto morte,
 perché abbrevio dolore.
1335Sente meno il morir chi tosto muore.
 PAPIRIA
 Ti seguirò...
 QUINTO FABIO
                         No, che in vederti afflitta
 costanza io perderei.
 Rimani. Amami. Vivi; e pria ch’io mora,
 dammi un amplesso ancora.
 QUINTO FABIO e PAPIRIA A DUE
 
1340   In stringerti al seno,
 se morte avessi almeno,
 contento
                   morirei, mio ben, cor mio.
 contenta
 
 QUINTO FABIO
 
    Amami e vivi, o cara.
 
 PAPIRIA
 
 Ahi! Che partenza amara!
 
 A DUE
 
1345Addio. Morir non posso;
 e posso dirti addio!
 
 Atrio magnifico con logge intorno corrispondenti alla Curia romana.
 
 SCENA XI
 
 LUCIO PAPIRIO sedente ad un tavolino
 
 LUCIO PAPIRIO
 Vinceste alfin, rigidi affetti. Il nome
 di Lucio andrà del pari
 con quei di Giunio e Tito.
1350Fabio, è ver, non m’è figlio;
 ma se non l’ebbi, l’adottai, lo feci;
 e la perdita mia quanto sia grande
 mel dice il mio dolor. Povero Fabio!
 
 SCENA XII
 
 RUTILIA e LUCIO PAPIRIO
 
 RUTILIA
 Qual duolo, o dittator?
 LUCIO PAPIRIO
                                            Del tuo germano
1355vieni a pianger i casi.
 RUTILIA
                                          Anzi a gioirne.
 LUCIO PAPIRIO
 T’ammiro, anima forte.
 Pianto ricusi a chi fra’ lauri ha morte.
 RUTILIA
 Morto il fratel? Non soffre
 spettacoli sì indegni occhio romano.
 LUCIO PAPIRIO
1360Che fu? Che arrechi?
 
 SCENA XIII
 
 PAPIRIA e i suddetti
 
 PAPIRIA
                                          Armi e tumulto. Han fatto
 impeto le coorti.
 Fuggono i tuoi. Sta il popolo sospeso
 sul destino di Fabio; ed io tremante...
 LUCIO PAPIRIO
 Vano è il timor. Vano il tumulto. Fabio
1365morrà. Gli ammutinati
 avranno il lor supplizio;
 e il popol, che approvò la mia sentenza,
 saprà ancor sostenerla. (Scendono dall’alto delle logge i littori)
 RUTILIA
 Tornar vedi i littori;
1370ma sulle lor non vedi
 mal disciolte bipenni orma di sangue.
 PAPIRIA
 Deh, con nobil perdono un mal previeni.
 LUCIO PAPIRIO
 Costretto, io dar perdono?
 Cadran con Fabio i più malvagi e tutti...
 
 SCENA XIV
 
 COMINIO e i suddetti
 
 COMINIO
1375Se vuoi tutti punir, verrà pria meno
 a’ carnefici il braccio
 che le vittime a’ colpi. Il loro duce
 chiedono le coorti e della plebe
 non poca parte. La vicina Curia (In lontano sull’alto cominciano a farsi vedere i soldati romani)
1380empion guerrieri e turbe
 o per salvarlo o per morir con lui.
 LUCIO PAPIRIO
 Faccianlo. Io solo il grado, io solo il petto
 opporrò al lor furore.
 Io solo contra Roma
1385combatterò per Roma;
 e prima che soffrire onta alle leggi,
 vilipendio all’onore,
 mi farò della Curia altare e tomba.
 PAPIRIA
 O virtù pertinace!
 COMINIO
                                    O ferreo core! (Marco Fabio e Quinto Fabio scendono dalle logge, seguiti da’ soldati)
 RUTILIA
1390Che fia? Col genitor Fabio a noi scende.
 
 SCENA XV
 
 MARCO FABIO, QUINTO FABIO e i suddetti
 
 MARCO FABIO
 Roma un reo ti togliea. Mia man tel rende. (Marco Fabio, preso per una mano Quinto Fabio, lo presenta al dittatore)
 Non fia ver ch’io rimiri
 aquile opposte ad aquile, aste ad aste
 e romani a romani. Un sol si sveni
1395alla pubblica pace.
 Io sarò senza erede
 ma Roma senza colpa. Il fabio sangue
 è presidio alla patria e non periglio.
 Signor, tue leggi adempi. Eccoti il figlio.
 LUCIO PAPIRIO
1400O magnanimo cor, per cui fia illustre
 di Roma anche la colpa!
 Deh, potessi quel capo,
 che tu rendi alla scure,
 alla scure sottrar. Qui siedi, o Marco; (Si leva dal suo seggio)
1405e tu sii dittator, giudice sii
 nella causa del figlio.
 Assolvilo, se puoi. No, che tu stesso,
 sordo alle voci di natura, quelle
 sol delle leggi e della patria udresti.
1410Quinto, or tu che dirai? Vedi qual male
 succeda al primo. Uno fa esempio all’altro.
 QUINTO FABIO
 Tale è l’orror, che del mio fallo or sento,
 che, se tu l’assolvessi,
 io stesso il punirei. Solo per tutti
1415a te basti il mio sangue.
 COMINIO
                                              O basti il mio.
 Del conflitto di Fabio,
 del tumulto del campo il reo son io.
 RUTILIA
 O generoso.
 LUCIO PAPIRIO
                         Tacciasi. Il tribuno (Vedesi scendere Servilio dall’alto, seguito dal popolo, da’ soldati, eccetera)
 col popolo a noi viene.
 PAPIRIA
1420(Spunta ancor nel mio sen raggio di spene).
 
 SCENA ULTIMA
 
 SERVILIO e i suddetti
 
 SERVILIO
 Col suo decreto il popolo romano
 giudicò Fabio a morte; e del perdono
 a sé tolse l’arbitrio e a te lo diede.
 Giammai la dittatura
1425non fu più grande; ed ella
 nulla ha in Roma d’egual, fuor che il tuo core.
 Sia questo ancor maggiore
 della tua dignità. Su, meco, o Roma,
 prostrati al dittatore,
1430prostrati, e tu buon padre e tu reo figlio. (Servilio, il popolo e i due Fabi s’inginocchiano a’ piè di Lucio Papirio)
 Pietà. Grazia. Perdono. Assai punito
 è il misero dal lungo
 aspettar della pena.
 Donala agli anni suoi. Donala al frale
1435dell’umana fiacchezza.
 Donala agli avi, al padre, a Roma tutta.
 Ah! Non ritorcer gli occhi,
 non rispingere il pianto. È Roma, è Roma
 quella, o signor, che vedi
1440ma ch’altri non vedrà china a’ tuoi piedi.
 LUCIO PAPIRIO
 Tribun, popolo, Fabi, omai sorgete. (I suddetti al comando di Lucio Papirio si levano)
 Basti così. La disciplina è salva.
 Salva è la dittatura.
 A Fabio reo la colpa
1445per me non si perdona;
 al popolo romano il reo si dona.
 Vivi, o giovane Fabio, e vivi altero
 di sì pubblico assenso,
 più che di tua vittoria.
1450Vivi al mio amor. Vivi alla patria. Il troppo
 genio feroce in avvenir correggi;
 e meglio impara a sofferir le leggi.
 TUTTI
 
    O grande! O giusto! O pio!
 O nostro dittator!
 
 RUTILIA
 
1455   Germano.
 
 COMINIO
 
                         Amico.
 
 PAPIRIA
 
                                         Sposo.
 
 QUINTO FABIO
 
 Che ben! Che gaudio è il mio!
 
 MARCO FABIO
 
 O figlio!
 
 QUINTO FABIO
 
                   O genitor.
 
 LUCIO PAPIRIO
 Al giubilo comun, giubilo accresca
 l’altrui perdono e il tuo, Cominio, ancora.
 TUTTI
 
1460   O grande! O giusto! O pio!
 O nostro dittator!
 
 MARCO FABIO
 Generoso Servilio, a te qual posso
 render mercé! Tu, degno
 d’unirti al Fabio sangue,
1465Rutilia avrai.
 COMINIO
                           (Mio sfortunato amore!)
 RUTILIA
 (Io del tribun qual premio? O padre ingiusto!)
 SERVILIO
 Signor, la tua bontade e la tua scelta
 mi sorprende e m’innalza.
 Vedi, o Rutilia, se plebeo qual sono
1470avea cor, avea merto
 d’innalzarmi all’onor de’ tuoi sponsali.
 Mi ributtò il tuo fasto e in quel ritroso
 tuo volto ancor le tue ripulse io leggo.
 Col disprezzo o col nodo
1475vendicarmi potrei;
 ma vil non son; né misero esser voglio.
 A Cominio ti cedo. Al tuo gran padre
 piaccian nozze a te care. Io ne lo prego.
 MARCO FABIO
 Né a Servilio, che chiede, il dono io nego.
 RUTILIA
1480Tardi conosco il bene che in te perdo;
 ma in quel che tu mi dai lieta mi veggio.
 COMINIO
 Al mio rival la mia fortuna io deggio.
 PAPIRIA
 Candido giorno!
 QUINTO FABIO
                                 Fortunato giorno!
 PAPIRIA
 In cui mercé d’amore...
 QUINTO FABIO
                                             E di virtude...
 PAPIRIA, QUINTO FABIO A DUE
1485In te, mio sposo,
                                 a ben goder ritorno.
 In te, mia sposa,
 MARCO FABIO
 Ma se voi siete avventurati, o cori,
 l’opra è di Lucio e sua pietà s’onori.
 TUTTI
 L’opra è di Lucio e sua pietà s’onori.
 IL CORO
 
    Festeggino, rimbombino
1490in alto suon di giubilo
 di Lucio al nome eccelso applausi e canti.
 
    Ma più di sua grande anima
 e la costanza intrepida
 e la pietà magnanima
1495dal lieto nostro amor s’applauda e canti.
 
 Il fine del «Lucio Papirio»
 
 LICENZA
 
 Quell’austera virtù, per cui cotanto
 andò la prisca Roma altera e illustre,
 fu, col nome di zelo e di fortezza,
 crudeltade e alterezza.
1500Ma tu, che del romano inclito impero
 siedi all’alto governo, augusto Carlo,
 il pregio hai d’esser forte,
 non di parerlo. Tua virtù in sé gode
 nel merito dell’opra
1505e non nell’altrui lode.
 Quindi a ragion la prima
 a te viene in ossequio,
 la tua passa in esempio. O sotto Carlo
 popoli fortunati,
1510un secolo sortiste
 a virtù vera amico, in cui se ognuno,
 con l’idea di piacere
 all’ottimo de’ prenci, il buon non calca
 sentiero della gloria,
1515dell’uomo e non del tempo è vizio e colpa.
 E tu felice giorno,
 cui non candida pietra
 ma il gran nome immortal segna ne’ fasti,
 oh qual ne riconduci almo diletto!
1520E qual per lungo corso
 ricondurrallo a noi propizia etade!
 Sì, viva Carlo. Amico cielo aggiunga
 i nostri a’ giorni sui;
 e col pubblico bene,
1525anche il pubblico amor riposi in lui.
 
    Carlo augusto, ottimo Carlo,
 grande al par di tua virtude
 sia il tuo bene e il nostro amor.
 
    E qual tu sai meritarlo,
1530giusto, pio, costante e prode,
 tuo sia il pregio d’ogni lode;
 tuo l’impero d’ogni cor.
 
 CORO
 
    Festeggino, rimbombino
 in alto suon di giubilo
1535di Carlo al nome augusto applausi e canti.
 
    Ma più di sua grand’anima,
 e la costanza intrepida
 e la pietà magnanima
 dal lieto nostro amor s’applauda e canti.